Imparare il linguaggio dei segni: si può fare? E come?
Imparare il linguaggio dei segni, per comunicare con i non udenti, è abbastanza complesso. Bisogna considerare che può cambiare da paese in paese. In Italia, dal punto di vista sociologico, è una vera e propria lingua, ed ha una sintassi ed una struttura. Ma chi ha ideato la lingua dei segni? E come si può imparare?
Chi l’ha ideata
Il linguaggio dei segni, per la verità, ha più di un “padre”. Nel 1500, in Spagna, fu realizzata dai padri Ponce de Leon e Pablo Bonet, in Francia, nel Settecento, dall’abate francese Charles-Michel De L’Epée, e in Italia da Ottavio Assarotti e Tommaso Silvestri.
Tommaso Silvestri (1744-1789), era un presbitero ed educatore italiano, che fondò l’Istituto Italiano per i Sordi a Roma, dopo essersi recato a Parigi nel 1783, con l’aiuto dell’amico Pasquale Di Pietro, per imparare e portare in Italia il metodo de l’Épée per insegnare il linguaggio dei segni ai sordi.
Ottavio Assarotti (1753-1829), era un religioso e teologo italiano, che insegnò in molti istituti, prima di ritornare a Genova e dedicarsi alla causa dei sordomuti, fondando anch’esso, nel 1811, l’Istituto Nazionale per Sordomuti di Genova, rinominato Fondazione Padre Assarotti. Lui stesso, ideò un nuovo metodo, chiamato per l’appunto “Metodo Assarotti”, inventando un alfabeto manuale che ancora oggi permette ai sordomuti di poter comunicare.
La lingua dei segni
Il linguaggio dei segni, in italiano, prevede un sistema codificato che prevede di ricorrere a i segni delle mani, alle espressioni del viso, ai movimenti labiali e a quelli del corpo. I gesti effettuati con le dita di una o entrambi le mani, sono la componente fondamentale di questo linguaggio, ed ognuno di questi gesti può avere più di un significato. La lingua dei segni tramite i gesti del corpo intero, soprattutto del viso, permette di comprendere aspetti verbali e non, mentre i movimenti labiali, sono un aspetto secondario.
Per imparare questo linguaggio, bisogna cominciare dall’alfabeto, che prevede un segno per ogni lettera, e da quelli che sono i “segni base“, che servono a dire “ciao”, “buongiorno”, “papà”, “mamma”, etc.
Dove si impara il linguaggio dei segni?
In Italia, i sordomuti sono circa 80,000, e sia loro che i loro parenti ed insegnanti, per comunicare, usano questo linguaggio. Ovviamente, come per le altre lingue, leggere un manuale con le basi non basta, ma occorre frequentare dei veri e propri corsi.
In questi corsi, la metodologia prevede una prima parte teorica, in cui vengono fornite delle nozioni di base, essenziali, neurologiche e fisiologiche, comprese le conoscenze relative alle cause e le patologie che provocano la sordità. La seconda parte prevedere esercitazioni pratiche, simulazioni, giochi e discussione per imparare il linguaggio. Queste lezioni sono destinate ad un ampia gamma di persone, come genitori, docenti, educatori, assistenti sociali, logopedisti, psicologici, operatori sanitari e sociali, etc.
Questi corsi si possono trovare su tutto il territorio italiano, promossi da vari enti ed istituti, pubblici e privati. A Roma, ad esempio, vi è il Gruppo SILIS (Studio e Informazione della Lingua dei Segni Italiana) che offre dei corsi di conversazione LIS (Lingua dei Segni), a vari livelli, ogni anno.
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